GMP Annex 1 e biodecontaminazione: considerazioni su tecnologia e ingegnerizzazione dei processi

9 Agosto 2024

Con la rivisitazione del GMP Annex 1 la bio-decontaminazione dei sistemi di barriera ha certamente assunto un ruolo chiave, ma non tutte le soluzioni disponibili sul mercato offrono le stesse risposte in termini di risultati, gestione del processo e validazione. In questo articolo consideriamo alcuni aspetti che andrebbero valutati prima di scegliere il sistema più adatto al proprio processo asettico.


GMP Annex 1 e biodecontaminazione

A un anno dall’entrata in vigore della revisione del GMP Annex 1 sono ancora diverse le questioni aperte ed i nodi da sciogliere. Se da una parte ci sono aspetti la cui interpretazione suscita dibattito all’interno del settore farmaceutico, dall’altra alcuni messaggi emergono con la massima chiarezza.

Uno di questi è certamente la necessità di utilizzare le tecnologie più avanzate disponibili sul mercato. Non si tratta di una novità, fin dalle versioni del 2001 e 2003 del documento veniva richiesto alle aziende cosiddette “Marketing Authorization Holders” di utilizzare tecnologie di processo aggiornate. Ma con l’ultima revisione di tale documento appare chiaro che questo tipo di scelte viene considerato oggi un elemento cruciale per il controllo della contaminazione, identificando, fra l’altro, l’impiego di isolatori e RABS come scelta preferenziale nella stesura della Contamination Control Strategy (CCS).

Restricted Access Barrier Systems (RABS) or isolators are beneficial in assuring required conditions and minimizing microbial contamination associated with direct human interventions in the critical zone. Their use should be considered in the CCS. Any alternative approaches to the use of RABS or isolators should be justified.
(GMP Annex 1, Premises 4.3, p. 06)

In questo contesto appare chiaro che l’approccio ingegneristico verso i sistemi di barriera rappresenta un elemento chiave della strategia di controllo della contaminazione richiesta dal documento, tanto che lo stesso GMP Annex 1 individua alcuni punti critici che andrebbero appositamente considerati nella stesura della CCS. Fra questi, c’è anche il programma di bio-decontaminazione.

Key considerations when performing the risk assessment for the CCS of an isolator should include (but are not limited to); the bio-decontamination programme, the extent of automation […].
(GMP Annex 1, Premises 4.20, p. 10)

Le caratteristiche del processo di bio-decontaminazione delle superfici interne dei sistemi di barriera sono definite poi nella sezione 4.22 del documento.

The bio-decontamination process of the interior should be automated, validated and controlled within defined cycle parameters and should include a sporicidal agent in a suitable form (e.g. gaseous or vaporized form).
(GMP Annex 1, Premises 4.22, p. 11)

Se il messaggio contenuto in queste due righe è piuttosto chiaro, non si può dire altrettanto per la sua applicazione pratica. La frase “controlled within defined cycle parameters” contiene una serie di implicazioni che hanno a che fare con le prestazioni e le caratteristiche della tecnologia utilizzata. Ci sono parametri del ciclo che andrebbero presi in considerazione e che dipendono strettamente dall’ingegnerizzazione del processo.

 

 

 

Inoltre, non tutte le soluzioni offrono le stesse risposte in termini di risultati, gestione del processo e validazione. Per questo motivo, ci sembra utile proporre alcune considerazioni relative a GMP Annex 1 e biodecontaminazione al fine di valutare la giusta soluzione per le proprie esigenze.

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Vapour Phase Hydrogen Peroxide – VPHP

Valutando i vari processi di bio-decontaminazione in sistemi di barriera, quello che sembra avere le caratteristiche migliori, unendo performance, versatilità e controllo, è basato sull’utilizzo di perossido di idrogeno in fase vapore (Vapour Phase Hydrogen Peroxide – VPHP). Quest’ultimo ha infatti diversi vantaggi rispetto alle altre due tecnologie utilizzate, a base di ossido di etilene ed ozono.

Il perossido di idrogeno, a differenza degli altri due componenti, si trova infatti allo stato liquido a temperatura ambiente, caratteristica che ne facilita il trasporto e lo stoccaggio, non è tossico se rilasciato in ambiente e non è inquinante, dato che i soli prodotti della sua reazione di decomposizione sono l’ossigeno ed il vapore acqueo. Queste caratteristiche, unite alla grande azione sporicida, hanno reso i dispositivi a base di VPHP la scelta preferenziale in un’ottica di integrazione nei sistemi di barriera.

 

Ciclo di bio-decontaminazione: la concentrazione di perossido non è il solo parametro da prendere in considerazione

 

Nonostante i vantaggi intrinsechi legati all’utilizzo del VPHP, la sfida consiste nell’adattare i cicli di bio-decontaminazione ai diversi processi farmaceutici, che si differenziano per parametri di processo, materiali e tempistiche di produzione da rispettare.

L’efficacia di un ciclo di bio-decontaminazione non dipende infatti dalla sola concentrazione di perossido di idrogeno all’interno dell’ambiente, ma anche dall’umidità relativa, dalla temperatura e dal tipo di materiali all’interno della macchina.

Per esempio, in un processo dove è necessario decontaminare tanti flaconi di vetro, materiale non permeabile al VPHP, sarà possibile raggiungere concentrazioni elevate, riducendo il tempo del ciclo, mentre in un altro processo, dove sono presenti materiali plastici, permeabili, sarà preferibile mantenere una minore concentrazione di perossido, evitando che penetri nelle plastiche, proteggendo eventuali componenti sensibili al loro interno e velocizzando la fase finale di areazione. Il ciclo di bio-decontaminazione andrebbe infatti pensato tenendo in considerazione anche quest’ultima fase, in quanto un ciclo efficace, potrebbe non esserlo nell’eliminazione finale del perossido dal sistema di barriera, che deve raggiungere valori inferiori ad 1 ppm.

Per questi motivi, abbassare il più possibile l’umidità relativa e aumentare al massimo i ppm di VPHP non può essere considerata la soluzione più efficace in tutte le casistiche. Un controllo di questi ultimi può permetterci di avere non solo areazioni finali più rapide, ma anche cicli più efficaci. Questo, per esempio, può essere fatto trovando, per lo specifico caso, il valore ideale di umidità relativa da cui iniziare l’iniezione di VPHP ed il relativo valore finale. Tale approccio permette di regolare il processo di microcondensazione sulle superfici, la cui efficacia è dimostrata da diversi studi in letteratura (Unger-Bimczok 2008, D. Walting 2002), valutando con precisione la concentrazione massima di perossido da raggiungere.

 

Versatilità e integrazione: la soluzione per avere performance sempre elevate

La soluzione ideale per avere performance elevate e costanti in presenza di diverse casistiche sembra essere quindi quella di optare per un generatore di VPHP il più versatile possibile, profondamente integrato con le diverse tecnologie di barriera a cui è connesso.

Per processi sensibili alla temperatura si può optare sull’integrazione del generatore con la rete dell’aria compressa della facility, garantendo bassi valori di umidità relativa in poco tempo senza scaldare eccessivamente l’aria per vaporizzare il perossido. Viceversa, per processi dove la temperatura non è un parametro significativo, o la facility non ha a disposizione elevate quantità di aria compresa, si può integrare il generatore con un deumidificatore a gel di silice, che scalda l’aria durante il processo di deumidificazione, aiutando inoltre il deassorbimento del perossido durante l’areazione finale. Quest’ultima fase è spesso il collo di bottiglia del ciclo, e, se gestita male, può durare più delle altre fasi messe assieme. L’integrazione fra la ventilazione del sistema di barriera ed il generatore di VPHP offre enormi vantaggi nello sviluppo di un ciclo di bio-decontaminazione.

 

L’importanza di scegliere un partner in grado di gestire tutti i parametri in gioco

Ne emerge che sono molteplici le situazioni che si possono presentare, rendendo non banale la ricerca dei vari parametri di ciclo ideali, che quindi dipendono non solo dal generatore di VPHP, ma dal processo e dal sistema di barriera stesso.

La scelta del partner diventa quindi un aspetto cruciale per la buona riuscita di un processo asettico. Solo l’utilizzo di un sistema che integra profondamente generatore di VPHP e sistema di barriera permette un elevato grado di ingegnerizzazione del processo, potendo gestire, sotto un unico produttore e nel modo più efficiente e sicuro possibile, le successive fasi di installazione, validazione e sviluppo del processo, garantendo i sempre più esigenti standard normativi del mercato.

L’integrazione sinergica delle tecnologie di bio-decontaminazione, dei sistemi di barriera e conoscenza e dei parametri in gioco in un processo asettico è la strategia chiave per affrontare le future sfide del settore farmaceutico.

 

 

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